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Notturna: più che umano

 

“Questo è un teatro, non una fabbrica!” grida dal leggio l’orso padrone del ghiaccio nel libro Caligrafía [Calligrafia, 2013]. Uno dei tanti animali che appaiono e prendono la parola nelle poesie di Eduardo Rezzano che da Ningún lugar [Nessun luogo, 1999], suo prima raccolta, ci mostra che l’io è molteplice. Tanto che tranquillamente può manifestarsi come “zampa di cavallo nel letto”, o come quegli elefanti che si avvicinano senza fretta: “Quando mi staranno / sopra / mi presseranno o / diverrò parte di loro?”.

Uso l’avverbio “tranquillamente” e lo faccio per un motivo specifico. In tutta la scrittura di Rezzano ci si imbatte in un sapere mansueto e, nel contempo, irriverente su ciò che sta accadendo: il tempo non solo cessa di essere lineare ma si scombina nello spazio tanto da provocare una deriva, una incessante metamorfosi.

Il poeta osa affrontare il Nonsenso, con tutta la gentile serietà che può trovarsi in un altro dei suoi libri, no fábulas [non favole, 2010], fino a giungere allo scarafaggio che ci cammina sul braccio in una delle poesie di Nocturna [Notturna, 2016] che Eduardo Rezzano, e ora Alessio Brandolini, ci donano. E ci permettono di ascoltare la melodia che si innalza sia di giorno che di notte. Che ci trasporta nel fiume della vita.

La parola “notturna” ha molti significati; ci fa pensare a coloro che deambulano di notte, lì dove si mescolano viandanti e poeti. A braccia che si staccano e a vicini che ci invitavano a giocare a scacchi ai quali non si può “dire di no / perché lo facevano / puntando una pistola”.

Sono Notturni gli animali che si nascondono di giorno e al buio vanno a caccia di cibo: “con le spalle alla notte / sentii che uno squalo si avvicinava”. E Notturne sono le piante che solo dopo il tramonto schiudono i loro fiori, così come Notturne sono le ore di scrittura e di lettura. Ci imbattiamo con una poesia intitolata espressamente Notturna. Inizia così: “Lei pettina canizie / più per abitudine / che per altri motivi…”.

Possiamo affermare che il movimento poetico di questo libro trascorre quasi sempre durante la notte, come per esempio in “Biografico”:

 

Sono nato nel maggio del 68

lontano da Parigi e da Praga

di buon mattino e in autunno

 

Il mio primo getto di pipì fu

per l’infermiera inamidata

che mi maledisse tre volte

prima che l’alba spingesse

i suoi galli a cantare

 

E ancora oggi la mattina conserva

della notte la sua inconsistenza

e me la offre

 

quel che l’oscurità nasconde

in un mormorio

il mio nome

abbandonato

 

Se la notte è un territorio, sulla pagina la luna si dissemina in molteplici modi: “la luna a mezza altezza”, “il chiarore lunare”, “la notte senza luna”, “la luna raggiunge / un pallido riflesso”, fino a mostrarci “la luna vuota”. Ma non solo da lei proviene o si spegne la luce, ci sono anche torce e perfino un bambino lampada. La luce che allarma. Le luci che possono offrirci alcuni insetti come luminosità notturna.

 

Torno alla frase enunciata quasi all’inizio: “il poeta osa affrontare il Nonsenso”, e mi riferisco a un modo diverso di percepire il mondo, sebbene Eduardo Rezzano nella poesia “Viola” la utilizzi col significato più vicino a “insensatezza”:

 

La linea sottile
tra l’ibernazione
e la morte dev’essere
oltrepassata con il  

sigillo della tartaruga


Non si tratta se la tartaruga
sappia o non sappia
che non c’è alcun possibile ritorno

da una così sottile precipitazione

Onoriamo l’insensatezza
del suo ultimo gesto
l’irresponsabile determinazione
di scrivere con la propria vita
l’opera d’arte più
orribilmente piccola

 

 

Sembriamo quasi sempre bisognosi di un mondo pieno che poi vorremmo rinchiudere in un alveo e trovargli cause ed effetti. Abbiamo la pretesa di capire ogni cosa. Mentre è quasi sempre la poesia a resistere a un tale modo di ragionare, spesso questa diversità è collegata alla stessa creatività poetica e il valore speciale di quest’altra forma di mostrare il mondo la incontriamo proprio nel libro Notturna di Eduardo Rezzano. Credo che sia una scelta dell’autore quella di spezzare la linearità, di rendere inquietanti i versi. Così da slegare, sgrovigliare un’altra logica fino a raggiungere un’estraneità con l’ordinario, con l’accadimento convenzionale.

Non si tratta di surrealismo, e nemmeno di realismo. Potremmo parlare di un’epica del quotidiano? L’autore sembra intenzionato a raccontarci il giorno dopo giorno con le sue imprese; allora, l’insetto umano sta tra le intemperie e la crudeltà, la Storia che l’attraversa, le diverse forme dell’abbandono, l’amore che se ne va ma che, talvolta, lo si può anche incontrare.

In questo libro l’autore elabora diverse poesie in modo clownesco e ci fa, sorridendo, non dimenticare la tragedia. Trasporta il lettore in una commedia più che umana nella quale, ci dice, “non dimentichiamo neppure / la delusione delle / sofferenze” (in Nessuno luogo).

Ho detto che dal suo primo libro c’è una continuità o un assemblaggio dell’elemento umano e di quello animale però è in Notturna che vi si intrecciano anche gli oggetti. I corpi “del tutto” sono riuniti, trasformati e contemporaneamente dispersi. Corpi che ci offrono un allargamento dello sguardo e del pensiero, una forza più grande di quella dei “tremila orsi e diecimila mosche”. Un filo rosso e insieme una continua oscillazione che fanno venire in mente dalla russa Marina Cvetaeva fino a Oliverio Girondo, o viceversa.

Eduardo Rezzano scrive e costruisce una poetica che mi permette di affermare – presa dai suoi versi – che questo libro mi “ha inzuppato fino agli zoccoli”. Aggiungo, usando sempre le sue parole, che “se il linguaggio ci fa umani, la poesia ci offre l’antidoto per divenire un’altra cosa”. E potremmo gridare: Questo è poesia!

​

Susana Szwarc (prólogo a la edición italiana)

 

 

Nocturna è l’ultimo libro del poeta e musicista argentino Eduardo Rezzano (La Plata, 1968), pubblicato a Buenos Aires nel 2016. Per calarsi nella notte, coglierne appieno il sentimento, occorre raccogliersi in solitudine e fare silenzio dentro di sé, staccarsi dall’ordinario. Solo così si possono distinguere le creature che popolano il buio, persino parlarci se riusciamo ad aguzzare e – al tempo stesso – a ridimensionare il nostro ego. Ed è quel che accade in questo straordinario viaggio notturno in cui s’incontrano scarafaggi, tartarughe, granchi, lupi, squali, foche... Animali che parlano, dialogano, come già accadeva nei libri precedenti di Rezzano, a partire da Ningún lugar (Nessun luogo) del 1999 e qui capita che perfino gli oggetti dicano qualcosa, forse per “ristabilire il silenzio” come detta l’epigrafe che apre il libro e cita Samuel Beckett. Allora si acutizzano i sensi fino ad ascoltare il battito d’ali di ogni singolo insetto e, sulla spiaggia illuminata dalla luna, il lento andare dei granchi.

Sono mille bocche a esprimersi, a raccontare piccoli storie che s’incastrano con precisione nell’universo e in qualche modo lo completano, rendono il suo enigma più “umano”, come se la cosa piccola, quasi invisibile, abbia più importanza di ciò che è grande, maestoso.
Il tono di queste poesie è quasi sempre allegro, talvolta persino scherzoso come se l’autore/personaggio non possa che essere felice passeggiando nella notte osservando ogni cosa e chiedendosi “dove sono?”, lasciandosi alle spalle i pensieri cupi e tristi, come accade al protagonista del noto racconto di Robert Walser “La passeggiata” che da ogni incontro ricava energia e gioia. Spesso aleggia un tono da fiaba, di mistero: “Da qualche parte un uomo/ di proporzioni inusuali/ bussa a una porta verde”: nel teatro del quotidiano possono accadere molte cose e la notte si adorna del suo mistero.

La solitudine e il silenzio, indispensabili per affrontare questa avventura, si riempiono di voci e suoni, una strana solitudine, quindi, di una notte senza tempo, di una “notte discesa dagli alberi azzurri”. E questo colore ritorna, come la luna in tutte le sue fasi, e stempera l’oscurità: “ero diventato/ azzurro// di un azzurro trasparente/ e spettrale”. La magia è una sottile patina che riveste e fa vibrare “l’oscurità appiccicosa”. Il viaggio prosegue e si esplorano luoghi e stanze sconosciute infilandosi sotto le porte, come un liquido o un flusso incontenibile.

Il fiume della vita porta con sé i fantasmi del passato, i morti, e la luna da lassù osserva anche quando è nera o vuota, è sempre lì con il suo grande occhio. Nella notte ci sono torce accese, bagliori, luci stellari, Marte, fuochi che brillano in lontananza e bambini-lampada come se la strada (e la vita?) si trasformasse nella stanza dei giochi. Anche quando lo svago può farsi pericoloso, come quando i vicini invitano a giocare a scacchi puntandoci una pistola.

Il poeta è il giardiniere dilettante (“pazzo o smarrito”) della notte che desidera trasformarsi in una felce silenziosa, farsi accarezzare dal vento in balia del buio dove “nessuno è nessuno”. Anche in una stanza vuota si ascoltano voci e bisbigliano finanche gli oggetti: “Ho voluto mettere le cose/ nel loro posto/ ma le cose parlavano/ e mi hanno confuso”.
Molti i titoli con dentro la parola “bambini”, in queste poesie si parla spesso di loro e fanciulli disegnati fuggono dalla carta per farsi reali e correre liberamente. Ma ci sono anche bambini di neve o osservati con orrore perché passeggiano al porto “con un palo inchiodato/ alla spalla sinistra”.

La creatività poetica di Eduardo Rezzano in Notturna (libro che tra qualche mese uscirà anche in Italia, pubblicato da Edizioni Fili d’Aquilone e in mia traduzione) mostra al lettore la faccia sconosciuta e impenetrabile della notte, anche quella inquietante, misteriosa perché l’imprevedibile, in questo viaggio che si biforca in continuazione, è sempre a un passo da noi. Qui nulla è lineare (né il tempo, né lo spazio) ma vi è una profondità che sorprende e dal pozzo al quale si affaccia il lettore trabocca una luce che allarma e stupisce. La musicalità dei versi (per lo più brevi, asciutti) batte il ritmo di Notturna, coordina i vari passaggi, li rende comunicanti tra loro e fa da ponte elastico che taglia la notte, slega i nodi del troppo razionale, dà senso all’impensabile, ai segreti che sono “burchi reali/ nel cielo oscuro”, ai mormorii, allo stesso nonsenso. E si citano Mahler, il brasiliano Villa-Lobos e, ovviamente, il “Chiaro di luna” di Claude Debussy.

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Alessio Brandolini

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